27 feb 2012

Due vite, un destino

Cinque

Erika

Avanzavo lentamente, come se dovessi entrare in un monastero, o in un museo. Era tutto silenzioso, come se non fossi in città e la cosa non mi dispiaceva affatto. Aprii quella porta col cuore a mille. Certo la casa non era proprio a posto, dovevo ripurirla per bene, magari comprare qualche mobiletto nuovo e dare una riverniciata alle pareti, ma in complesso era bella. Il grande salone era composto da alcuni divani e un tavolino tutto in legno. Sedie ce n’erano solo due ma sarebbero state più che sufficienti. Il bagnetto era carino, tutto a piastrelle blu con uno splendido box doccia. La mia camera aveva una carta da parati che sapeva d’antico ma era davvero splendida, non l’avrei tolta per nulla al mondo. La cosa che più mi colpì però era il letto, tutto in ferro battuto, con intarsi alle spalliere da fine ottocento. Dovevo darmi da fare, questo sarebbe stato il mio nido e dovevo renderlo accogliente, una casa a tutti gli effetti. Mi decisi a uscire per comprare tutto l’occorrente, detersivi e vernici, per dare una prima sistemata. La polvere era dappertutto. Aprii tutte le finestre, per far entrare la tiepida aria autunnale nelle stanze ancora sottosopra. Passai prima per i mobili dove c’erano almeno due dita di sporco. Presi scopa e paletta, dopo aver trovato per caso un grembiule nella cucina piccola ma, per fortuna, attrezzata. La polvere andò via a poco a poco, e già si intravedeva il pavimento, che era beige. Passai poi una bello straccio con il detersivo, per ben due volte. Tutto il pomeriggio trascorse così, per rendere quel luogo vivibile il più possibile. Finii intorno alle sette, con una stanchezza addosso che mi fece accasciare sul divano senza più nemmeno un briciolo di forza. Dovevo mangiare qualcosa, ma il sonno prese il sopravvento. Il viaggio, le emozioni, le pulizie, arrivarono tutte insieme a farsi sentire dentro il mio povero cuore. Caddi in un sonno pesante, che durò fino al giorno dopo.
La tenue luce del mattino entrò dalle finestre illuminando il mio viso. Mi resi conto che avevo dormito addirittura vestita, davvero tanto. Erano le sei del mattino del mio primo giorno a Parma. Il bar dove avrei lavorato si trovava in centro, avevo intenzione di andarci a piedi, almeno per vederlo. Il lavoro sarebbe iniziato pochi giorni dopo. Mi diedi una sistemata, una doccia e dei vestiti presi dalla valigia ancora chiusa. Leggins e magliettina lunga con stivali alti e via, ero pronta.
La passeggiata mi rintemprò, ne avevo bisogno. Il centro non era distante dalla zona dove abitavo e questo mi avrebbe permesso di camminare ogni giorno. Camminare mi aveva sempre rilassato tanto. Mentre camminavo ripensavo a me, alla mia vita, a come tutto stava cambiando velocemente. Fino a pochi anni prima ero ancora una bambina che viveva con la sua mamma, protetta dal mondo esterno. Poi la mamma se ne era andata e con lei era morta una parte di me. Avevamo un rapporto difficile, complicato. Eravamo due donni forti, ma mi rendevo conto solo adesso che la mia forza dipendeva dal fatto che lei era vicino a me.  La mamma col suo esempio mi aveva fatto diventare quella che ero, ma era stato un rapporto sempre al limite della lite. Io volevo delle libertà che lei non era in grado di darmi, perché eravamo povere, dovevamo tirare la cinghia e rinunciare a tante cose ogni giorno. La scuola per me era stata un inferno. Le mie compagne di classe erano tutte carine, tutte vestite bene, io invece dovevo accontentarmi di quello che trovavo nei mercatini dell’usato. Tornavo a casa frustrata e me la prendevo con lei. Le lanciavo addosso delle accuse che non meritava, solo ora lo capivo. Con la sua morte ero cambiata anche io, avevo voluto bruciare ogni tappa e gli errori si erano accumulati, come le relazioni sbagliate, cercavo uomini che mi dessero quello che non avevo mai avuto, un padre anzitutto, e poi soldi. Si volevo quelli, per sentirmi sicura, per non dover vacillare più nel mare della vita che fino ad allora era stata solo sudore e sacrificio. Non mi rendevo conto che avevo bisogno soprattutto d’amore, pensavo ad altro, pensavo che l’amore fosse una favola, non esisteva nella vita reale. Ma dopo la storia disastrosa con Matteo, avevo compreso. Non sapevo cosa voleva dire amare. Presa da tutto il resto, l’amore era passato in secondo piano. Era ora di iniziare un nuovo percorso, non solo di vita, ma anche dentro di me.



24 feb 2012

Due vite, un destino

 Quattro.

Quando il treno si fermò, Erika sentì il suo cuore battere fortissimo. La sua nuova vita stava per iniziare. Per fortuna a Parma aveva una lontana parente, una cugina della madre, che le aveva trovato una camera in affitto e un lavoretto part time in un bar del centro. Mentre camminava, cartina stradale in mano, continuava a pensare al giovane che aveva incontrato sul treno. Le piaceva il suo modo di sorridere, di guardarla, di parlare con lei. Si rendeva conto che non aveva mai conversato così amabilmente con un uomo. La sua vita era stata costellata da uomini  completamente assenti o troppo possessivi, fino all'apice raggiunto con Matteo. Si chiedeva se la sua propensione a uomini sbagliati  dipendesse dal fatto che aveva perduto suo padre troppo presto. Era piccola quando lui era prima andato via casa lasciando lei e sua mamma da sole, per poi morire pochi anni dopo in seguito a un incidente stradale. A sei anni suo padre non c'era già più, cosa poteva ricordare di lui? Quasi nulla e questo le provocava fitte di dolore ancora oggi. Quando aveva provato a parlarne con sua madre, lei si chiudeva in un mutismo che non comprendeva. La sua sofferenza era stata davvero atroce. Crescere una bambina da sola non era stato facile, ma ce l’aveva fatta. Erika era diventata donna. Ora però anche la mamma non c’era più e si sentiva come una barca sbattuta da onde altissime; si reggeva per non perdere completamente l’equilibrio e cadere in acqua. Camminava e pensava a tutto questo fino a che si rese conto che era giunta a destinazione. Osservò la cartina più di una volta. L’indirizzo era giusto. Si guardò intorno forse per la prima volta. Quanto verde! E che ville bellissime! Sembrava una bimba entusiasta che osservava tutto con stupore e meraviglia. Chissà come sarebbe stata la sua nuova casa. Andando avanti pochissimi metri la vide. Era una piccola villa, con un giardino un po’ trascurato. Il tetto era spiovente fatto tutto di mattoncini rossi. Nel giardino c’era anche un dondolo sotto a un gazebo. Ma che meraviglia, pensò, mi godrò tutto questo nelle giornate di primavera, col profumo dei fiori a farmi compagnia mentre con un libro in mano viaggerò verso mondi lontani. In fondo non era tutto sbagliato, pensò ancora. Poteva davvero ricominciare. E sorridendo, si avviò verso il portone.




20 feb 2012

Tre

Antonio.

Continuavo ad ascoltare quella donna con grande attenzione. Mi attirava, ma non capivo cosa ci trovassi in lei. Non era bellissima, anzi, direi normale. I suoi lunghi capelli neri, però, sembravano una cascata che le copriva le spalle facendola apparire una donna d'altri tempi. Sembrava  fuori dal mondo, il suo sguardo si perdeva continuamente, come se vagasse lontano. Mi colpiva il suo coraggio. Aveva abbandonato tutto, la sua terra, il lavoro, per partire, per dare alla sua vita una possibilità. Un'altra cosa in lei mi piaceva tanto. I suoi occhi azzurri. Un azzurro intenso, dentro cui era facile perdersi. Era la classica donna mediterranea ma faceva di tutto per nascondersi, per scoprire solo una minima parte di sè. Sembrava trascurata. Dovevi osservarla attentamente per capire che c'era del fascino in lei. Mentre parlava, ogni tanto abbassava gli occhi, come se si vergognasse di quello che aveva passato, come se si sentisse in colpa. In quei momenti avrei voluto stringerla a me, mentre le dicevo che lei non aveva alcuna colpa dei comportamenti del suo ex. Sembrava una piccola fragile foglia, attaccata al ramo della vita come se non avesse nessun altro appiglio.Mi guardava rossa d'imbarazzo e per la prima volta vedevo lo sguardo di una donna interessata solo ad aprirsi, che non voleva niente da me se non il mio aiuto. Non le interessava il mio corpo, la mia faccia, il mio sedere, o qualunque altra cosa di bello ci fosse in me. Le interessavo io come persona e lo dimostrava anche chiedendomi di me. Voleva sapere di cosa mi occupavo, come trascorrevo il mio tempo. E io raccontavo. Le avevo detto che anch'io avevo lasciato la mia terra, la Sicilia,  tanti anni prima, per andare a vivere a Milano. Che facevo il grafico in una famosa azienda di pubblicità, riuscendo così a realizzare il sogno che avevo fin da bambino; creare immagini, guardare il mondo attraverso il disegno. Così lei mi aveva confessato che avrebbe voluto  diventare illustratrice di storie per bambini. Subito pensai che avrei potuto aiutarla.  Ma non sapevo come. Ci avrei pensato in seguito. Nel frattempo il treno si era fermato e lei era scesa a Parma. Non avevo fatto in tempo nemmeno a chiederle il suo nome, ma sentivo di essere legato a lei, in qualche modo. Lo sentivo e sapevo che ci saremmo ritrovati. 

16 feb 2012

Due vite, un destino

Due.

Erika.

Mi accorsi che avevo proprio bisogno di quello sfogo. Le parole sembravano uscire fuori senza ritegno, senza pudore alcuno. Raccontai a quel giovane sorridente e gentile ogni particolare dei miei ultimi mesi. La disperazione, la voglia di scappare, di fuggire via dalla mia vita inutile e vuota. La mia prigione si chiamava Matteo, l’uomo da cui stavo cercando di allontanarmi il più possibile. Non aveva accettato la fine della nostra storia;  da allora era una continua persecuzione. Me lo ritrovavo sotto casa, al posto di lavoro, dappertutto. Avevo dovuto cambiare il numero di cellulare per i continui sms e le telefonate che giungevano nei momenti più impensati, anche durante la notte. Mi minacciava, diceva che mi avrebbe fatto pagare la sua sofferenza fino all’ultima goccia del mio sangue. Avevo anche provato a denunciarlo, ma con le sue amicizie influenti era riuscito a farmi passare come una pazza visionaria. L’unica cosa che potevo fare a quel punto era andare via. Lasciare la mia città, Matera, la mia terra, tutto. Non ero triste perché, in fondo, non avevo altro a cui essere legata giù. I miei genitori non c’erano più, solo qualche amica che si era dileguata quando avevo chiesto aiuto. Quel peso sullo stomaco, però, c’era e non pareva andarsene via. Sapevo che la mia vita sarebbe cambiata. Avrei dovuto lottare con le mie forze da quel momento in poi. Trovare quel ragazzo sul treno, però,  mi sembrò un segno. Qualcosa di buono poteva ancora succedere. Lui era lì. Non mi sentivo più così sola, potevo condividere le mie pene. Quando il treno si mosse, mi sembrò di perdere il mio appiglio. Cercai di trattenere ancora a lungo quella sensazione di sentirmi di nuovo accettata da qualcuno; sarebbe durata fino alla mia fermata, Parma. Poi non l’avrei più rivisto, lui avrebbe continuato il viaggio fino a Milano. 




14 feb 2012

Due vite, un destino

Uno

Il treno correva veloce, come i suoi pensieri. Era così assorta che non si accorse dello sguardo fisso su di lei. Due occhi la scrutavano, dall'alto in basso, come se non esistesse altro intorno. A un certo punto il treno si fermò, quasi di botto, e lei finalmente girò la testa ma lentamente, quasi come se la brusca frenata non avesse sortito alcun effetto sul suo corpo. I suoi occhi, a quel punto, si posarono su quelli del ragazzo che la osservava da un pò di tempo. Lui, istintivamente, distolse lo sguardo: non voleva che lei pensasse che fosse un tipo invadente. Lei sospirò, un lungo, lunghissimo sospiro, come se dentro al cuore avesse dell'aria pesantissima. Doveva tirarla fuori, fare qualcosa per fermare quel flusso assurdo di sensi di colpa, di fallimento, di rinunce che si portava addosso. Stava per cambiare vita, a questo doveva pensare. E poteva ancora accadere di tutto. Se lo augurava, mentre di fronte a lei quel ragazzo sembrava quasi imbarazzato dalla sua presenza. "Scusami", gli domandò, "Dove siamo?", lui le rispose con evidente sorpresa per quella domanda che non si aspettava :" Quasi a Reggio Emilia, ma non so perchè ci siamo fermati ed è ormai circa mezz'ora che siamo in aperta campagna". "Ho sbagliato a non portare con me un libro, questi minuti sarebbero trascorsi più velocemente", disse lei :"Bè, potremmo far due chiacchiere così ci sembrerà meno faticosa l'attesa", rispose lui e un sorriso gli si stampò correndo da una guancia all'altra. 
:"Ma si, perchè no."  Il viso di lei si distese, quasi rilassandosi. Il treno era ancora fermo. Una voce stava annunciando che, per un guasto al motore, avrebbero dovuto attendere ancora. Lei e lui sorrisero entrambi nello stesso istante. Chissà perchè, quella notizia era un sollievo. Le parole iniziarono a volare da una bocca all'altra, come farfalle.

12 feb 2012

Attendendo la primavera

Pensieri interrotti, il flusso della neve bianca mi circonda, occupa tutto e ingabbia tutto, anche quello che sento. Vorrei uscire, gridare, urlare, tornare alla mia vita di sempre! L'inverno mi blocca, mi fa sentire persa, come se non riuscissi a fare altro che starmene con me stessa, nonostante cerchi sempre il confronto con chiunque, ma ho come l'impressione di essere comunque sola, non so, come se tutto questo bianco imprigionasse la mia parte migliore. Ecco, io attendo la primavera, il caldo, il sole, per tornare a volare!

10 feb 2012

La mia festa, la nostra festa


Quella che Lorenzo ci ha regalato,
mettendoci tutta la sua anima
di uomo speciale.
Quella che io e il mio amore
ci siamo donati,
vivendola intensamente.
Una festa di luci,
di musica, di emozioni,
di gioia pura.
Una festa che rimarrà
impressa dentro di me
per sempre.