Sei
Giunse al bar quasi col fiatone; la passeggiata l’aveva stancata, da tempo non camminava tanto, le gambe erano come bloccate, andavano avanti come fossero trainate da una gru. Si sarebbe riposata, avrebbe preso un caffè prima di presentarsi alla proprietaria. Entrò dentro il bar piano piano osservando quello che aveva intorno. Era davvero carinissimo. Un lungo corridoio divideva gli spazi. A destra c’era un bancone pieno di prebilatezze, dal dolce al salato; gli occhi di Erika si posarono sulle torte dai mille colori, dai gusti diversi; tutte sembravano golosissime. A sinistra tavolini stile vintage si alternavano a piccoli divanetti con soffici, grandi cuscini. La gente sorseggiava caffè, leggeva libri; dava l’impressione di essere un posto molto vissuto. Echeggiavano le note di Piazza grande, che Erika iniziò a canticchiare sorridendo. Quanti ricordi quella canzone, il ritornello per lei significava tanto: “A modo mio, avrei bisogno di carezze anch’io”. Mentre la cantava tutta una signora abbastanza in carne e dal viso simpatico la stava osservando. Da dietro il bancone le chiese che cosa desiderasse. Lei rispose : “Un caffè e un dolcino”. E si sedette sul divano continuando a guardarsi intorno. C’erano luci soffuse che davano un senso di calore e di accoglienza. Il bar si chiamava “L’angolo del gusto”, come nome le sembrava davvero azzeccato.
Il gusto era presente dappertutto in quel posto, dal cibo agli arredi.
Si sarebbe trovata bene, pensò. Si alzò dal divano e andò dalla signora a presentarsi : “Buongiorno, mi chiamo Erika Salvemini, sono la nuova barista”.
La signora le sorrise e le strinse la mano : “Ben arrivata, mi hanno parlato bene di lei, mi auguro che lavoreremo bene insieme”.
: “ Certo, ne sono sicura.”
: “ Credo dovrei mostrarle come funzionano le nostre macchine e anche il laboratorio. Sa, qui il caffè, il cappuccino, la cioccolata calda, sono cose serie. Devono essere fatte bene per i nostri clienti che sono nostri abituali frequentatori. Io la prendo in prova, le insegnerò i trucchi del mestiere; dal curriculum ho notato che non ha moltissima esperienza in questo campo e io devo essere sempre sicura dei miei dipendenti”.
: “Sono pronta a imparare, e a lavorare sodo”. Erika comprese che sarebbe stato un lavoro faticoso ma non era spaventata all’idea. Aveva bisogno di tenere occupata la mente e lavorare era l’unico modo che aveva per riuscirci.
Passò la mattinata con la signora Ada che le spiegò tutto per filo e per segno. Le insegnò che doveva stare attenta a miscelare bene i chicchi di caffè nella macchinetta, la cremina doveva essere densa e dare la sensazione di calore. : “Chi viene qui”, le spiegava Ada, “ci regala un momento del suo tempo, si rilassa, ferma la sua corsa, tutto deve perciò essere fatto nel migliore dei modi, perché nessuno pensi di aver sprecato quel momento venendo da noi”.
Erika non l’aveva mai vista in questo modo, lo ammise.
Per lei i bar erano luoghi in cui entrare, fermarsi giusto un attimo e scappare via.
Per molte altre persone, invece, erano luoghi in cui distendere la mente, abbandonare i pensieri per pochi minuti o per mezz’ora, dove ritrovarsi con gli amici per chiacchierare amabilmente di fronte a una cioccolata o un aperitivo.
Da quel momento in poi il bar sarebbe stato anche per lei un luogo tutto nuovo, dove lavorare, vivere, incontrare tanta gente. La vita era appena iniziata per lei e sarebbe stata piena di sorprese.